A volte la violenza raggiunge livelli altissimi anche all’interno di uno sport-spettacolo predeterminato, con risultati capaci di scioccare il pubblico
La natura predeterminata del pro wrestling porta alcune persone a non prenderlo sul serio e a minimizzare i rischi corsi dagli atleti che salgono sul ring. Per quanto sia vero che i wrestler fanno di tutto per aiutarsi a eseguire le mosse nel modo più sicuro possibile, gli incidenti sono all’ordine del giorno, così come gli infortuni e le ferite. Inoltre, esistono alcune stipulazioni pensate apposta per trasformare i volti delle superstar in maschere di sangue e le loro schiene in puntaspilli. In quest’articolo andremo a scoprire tre match piuttosto violenti che gli spettatori impressionabili farebbero bene a evitare di guardare.
Partiamo dall’esempio più recente, che ha già fatto discutere mezzo mondo per le scene cruente proposte: il Texas Death match tra “Hangman” Adam Page e Swerve Strickland. Nel corso delle settimane precedenti all’incontro la rivalità tra i due wrestler si era fatta personale, soprattutto in seguito all’intrusione dell’ex membro degli Hit Row nella casa dell’avversario, con tanto di monologo inquietante davanti alla culla del figlio.
Durante il match, Page si è vendicato legando le mani di Strickland con del nastro adesivo e usando una spillatrice sul suo corpo. L’oggetto gli ha anche permesso di applicare un disegno del figlio sulla guancia del rivale, per poi strapparlo con brutalità. L’ex campione AEW ha anche bevuto e sputato il sangue di Strickland con un’espressione ferale dipinta sul volto.
Nel corso del brutale incontro sono stati usati anche pezzi di vetro, una catena e un blocco di cemento. La violenza non è mai stata fine a sé stessa, bensì ben contestualizzata nella narrazione portata avanti sul ring.
Negli ultimi anni la WWE ha un po’ tirato il freno a mano sulla violenza nei suoi match, ma durante l’Attitude Era (periodo compreso tra il 1997 e il 2002), quando ancora si chiamava WWF, propose alcuni degli incontri più brutali nell’intera storia del pro wrestling. Alcuni dei più memorabili ebbero per protagonista Mick Foley, superstar da sempre pronta a correre dei grandi rischi per elevare la qualità dello spettacolo proposto e regalare ai fan delle emozioni uniche.
Nei panni di Mankind (uno dei tre personaggi interpretati nel corso della sua carriera) affrontò Undertaker all’interno del terzo Hell in a Cell match nella storia della federazione, svolto al PPV King of the Ring 1998. Combattuto all’interno (e a volte anche al di fuori) di una gabbia che circonda l’esterno del ring, questo tipo d’incontro è in generale piuttosto violento, ma in quella notte raggiunse picchi di brutalità mai visti prima.
In due occasioni Mankind cadde dalla cima della struttura infernale. La prima volta finì sul tavolo dei commentatori spagnoli dopo un volo di sette metri, momento accompagnato dall’indimenticabile esclamazione di Jim Ross: “Oh my god, as god as my witness, he is broken in half!”. In seguito all’impatto, Mankind rimase privo di sensi per mezzo minuto. Trenta secondi interminabili, durante i quali chiunque, compreso l’amico e collega Terry Funk, gli sconsigliò di portare avanti l’incontro. Lui si rialzò e tornò sul ring, pronto a mettersi in gioco fino alla fine, perché “the show must go on”, soprattutto nel wrestling.
Foley e Undertaker tornarono di nuovo sulla cima della gabbia, dove il Deadman eseguì la Chokeslam, una delle sue mosse più celebri. Qualcosa andò storto: il tetto della struttura cedette sono il peso di Mankind, che volò sul ring sottostante assieme a una sedia d’acciaio. L’impatto ebbe delle conseguenze terribili, anche se non fatali: Foley si ruppe la mandibola e uno dei suoi incisivi si staccò dalle gengive e gli finì nel naso. A differenza del primo volo, questo non era stato in alcun modo programmato. O meglio, secondo i piani si sarebbe dovuto verificare qualcosa del genere, ma in condizioni più sicure per la salute di Mankind. Quest’ultimo ha dichiarato che se l’elevazione della Chokeslam fosse stata maggiore avrebbe rischiato di morire o perlomeno di rompersi parecchie ossa.
Ai fan della ECW basta leggere il nome New Jack per sentire un brivido scorrere lungo la schiena. Il wrestler in questione si rese protagonista di alcuni dei momenti più violenti e controversi dell’intera storia della federazione di Philadelphia. Uno di questi è il celebre “incidente Mass Transit”, avvenuto il 23 novembre del 1996 a Revere, nel Massachusetts, durante uno degli house show (eventi non trasmessi in televisione) precedenti al PPV Barely Legal.
A causa di un’emergenza familiare dell’ultimo minuto il wrestler Axl Rotten non poté prendere parte all’evento e Paul Heyman, all’epoca proprietario e booker della ECW, fu costretto a sostituirlo per dare a D-Von Dudley un tag team partner con il quale affrontare i The Gangstas, duo composto da New Jack e Mustafa Saed. La scelta ricadde su Mass Transit, all’anagrafe Eric Kulas, un ragazzo corpulento che sosteneva di essere stato allenato da Killer Kowalski e di essere pronto a salire su un ring di wrestling. Purtroppo le cose non stavano davvero così: non solo il giovane aveva pochissima esperienza, ma era persino minorenne, al contrario di quanto dichiarato a Heyman.
Come raccontato da New Jack nel corso del documentario “Dark Side of the Ring”, nello spogliatoio Kulas espresse il desiderio di sanguinare nel corso del match. Incidenti a parte, nel wrestling la maggior parte dei tagli riportati dai wrestler è autoinflitta tramite l’uso di una piccola lama (in gergo tecnico si parla di baldejob). Se i cameraman fanno bene il loro lavoro, la ferita può sembrare causata dai colpi inflitti dall’avversario, rendendo di conseguenza il match più cruento. In rari casi può essere uno degli altri wrestler coinvolti nell’incontro a mettere in pratica il bladejob sul partecipante che deve sanguinare.
Purtroppo per Kulas, New Jack non conosceva le mezze misure: usò un bisturi modificato per fare un profondo taglio sulla fronte dell’avversario e recise due arterie. Mass Transit iniziò a sanguinare copiosamente e poco dopo perse conoscenze. Il padre, presente tra il pubblico, urlò come un disperato per provare a fermare il match e far intervenire i soccorritori.
Per riparare al danno causato da New Jack furono necessari cinquanta punti di sutura. Il caso finì persino in tribunale, con la difesa che fece leva sulle bugie di Kulas e sul fatto che il ragazzo fosse consapevole dei rischi che avrebbe corso all’interno del ring per ottenere un verdetto di non colpevolezza (che in effetti arrivò).
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