In un’operazione che ha scosso il mondo del tifo calcistico, la Polizia ha scoperto un vero e proprio arsenale all’interno di un capannone a Cambiago, in provincia di Milano. Tra fucili d’assalto, pistole, bombe a mano e un’ampia varietà di proiettili, le forze dell’ordine hanno rinvenuto armi considerate di guerra, destinate a un utilizzo ben lontano dall’entusiasmo delle partite di calcio. Il magazzino è stato identificato come il deposito della Curva dell’Inter, il gruppo ultras che sostiene la squadra meneghina.
Il proprietario del capannone, Cristian Ferrario, un noto tifoso interista, si è trovato al centro dell’attenzione mediatica dopo il suo arresto in flagranza di reato per detenzione di armi da guerra. Durante l’interrogatorio di convalida, Ferrario ha negato ogni responsabilità, dichiarando: “Quelle armi non erano mie, non le custodivo, non sapevo nemmeno che fossero lì”. Questa difesa ha suscitato interrogativi e incredulità. Il 50enne, già agli arresti domiciliari dal mese scorso nell’ambito dell’inchiesta “doppia curva”, è considerato un presunto prestanome del capo ultrà Andrea Beretta.
Secondo quanto riportato, Ferrario ha dichiarato nel suo interrogatorio di non essere a conoscenza della presenza delle armi nel suo deposito. Ha raccontato che il capannone era stato utilizzato insieme a Beretta per sgomberare un bar di Cambiago cinque anni fa, dove sarebbero stati riposti “tutti gli arredi del bar”. Ferrario ha affermato di essere stato nel magazzino solo di recente, in luglio, per effettuare delle pulizie a seguito di un temporale, ma di non frequentarlo abitualmente. Questo tentativo di distaccarsi dalla responsabilità è un elemento chiave nella sua strategia difensiva.
L’arresto di Ferrario è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorsi, e ora i pubblici ministeri hanno richiesto la sua custodia cautelare in carcere. Il Gip, Domenico Santoro, dovrà ora decidere se accogliere la richiesta o rilasciare Ferrario. La difesa, affidata all’avvocato Mirko Perlino, ha sostenuto che mancherebbero “i gravi indizi” a carico del suo assistito. Perlino ha sottolineato che Ferrario è stato arrestato esclusivamente perché presso la sua abitazione è stata trovata una chiave che dava accesso al deposito. Tuttavia, l’avvocato ha evidenziato che la fonte confidenziale da cui sono partite le indagini non ha mai affermato che le armi appartenessero a Ferrario.
Questa vicenda solleva interrogativi non solo sulla responsabilità individuale di Ferrario, ma anche sull’operato degli ultras e sul loro legame con attività illecite. In Italia, il fenomeno degli ultras è complesso e stratificato, con gruppi che spesso si muovono in un limbo tra il tifo acceso e comportamenti violenti o criminali. La “Curva” di una squadra di calcio, in particolare, è frequentemente associata a episodi di violenza, scontri con le forze dell’ordine e pratiche di intimidazione. La scoperta di un arsenale all’interno di un deposito legato a un gruppo ultras non fa altro che alimentare le polemiche e le discussioni su questo tema delicato.
Le autorità stanno ora indagando a fondo per comprendere l’origine delle armi rinvenute e se il deposito fosse realmente utilizzato dagli ultras per scopi legittimi o se avesse un ruolo attivo in attività criminali. È chiaro che la situazione è molto seria e richiede un’analisi approfondita del contesto in cui si muovono questi gruppi. La presenza di armi da guerra in un deposito legato a tifosi di calcio solleva preoccupazioni non solo per la sicurezza pubblica, ma anche per la reputazione del calcio italiano.
Mentre l’inchiesta continua, i tifosi e i cittadini si interrogano sulle implicazioni di questa vicenda. Ci si chiede quali misure possano essere adottate per prevenire l’infiltrazione del crimine organizzato nel mondo del tifo e per garantire che il calcio rimanga uno sport, un momento di aggregazione e non un campo di battaglia. La storia di Cristian Ferrario rappresenta solo un tassello di un mosaico ben più grande che richiede attenzione e interventi mirati da parte delle autorità competenti.
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