Luca Lucci, il famoso capo ultras della curva sud del Milan, si trova in un momento cruciale della sua vicenda giudiziaria. Dopo l’arresto avvenuto a fine settembre nell’ambito dell’inchiesta “doppia curva”, Lucci è ora al centro di accuse gravi, tra cui quella di essere al vertice di un’organizzazione di narcotrafficanti attiva tra il giugno del 2020 e il marzo del 2021. Questa settimana, il giudice per le indagini preliminari di Milano, Fabrizio Filice, ha interrogato Lucci in carcere, e per la prima volta il capo ultras ha fatto delle ammissioni riguardo alle accuse mosse contro di lui.
Le indagini e le accuse
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Milano, sotto la direzione dei pubblici ministeri Leonardo Lesti e Rosario Ferracane, hanno rivelato un quadro allarmante di attività illecite. Secondo gli inquirenti, Lucci e il suo gruppo avrebbero importato significative quantità di sostanze stupefacenti, tra cui:
- Hashish
- Cocaina
- Marijuana
Queste sostanze provenivano da Spagna e Marocco, e il gruppo utilizzava elicotteri e autotrasportatori, gestendo anche depositi strategici all’estero per facilitare le operazioni di traffico. La complessità e l’organizzazione di queste operazioni hanno sollevato preoccupazioni non solo per la sicurezza pubblica, ma anche per il ruolo dei gruppi ultras nel traffico di droga.
La scelta di Lucci e le sue ammissioni
Fino a questo punto, Lucci aveva scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere durante gli interrogatori. Tuttavia, ha deciso di rompere il silenzio in merito alla quarta ordinanza di custodia cautelare a suo carico. La sua decisione di ammettere alcune delle accuse potrebbe rivelarsi strategica in un contesto legale sempre più complesso e teso, influenzando il corso delle indagini e le eventuali collaborazioni future con gli inquirenti.
Un fenomeno allarmante
Oltre a Lucci, l’inchiesta ha coinvolto altri ultras del Milan, già noti alle autorità per il loro coinvolgimento nelle dinamiche delle curve. Questa rete di affiliazione tra i gruppi ultras e le attività criminali ha portato a un allargamento delle indagini, con un focus particolare sulle connessioni tra il tifo organizzato e il crimine organizzato.
L’operazione “doppia curva” ha messo in luce un fenomeno che non riguarda solo le partite di calcio, ma si estende ben oltre, toccando questioni di sicurezza pubblica e di ordine sociale. La presenza di gruppi ultras, storicamente associati a manifestazioni di tifo passionale, sta assumendo contorni sempre più inquietanti, con l’emergere di attività illegali che mettono a rischio non solo gli sportivi, ma anche la cittadinanza.
La situazione di Lucci rappresenta emblematicamente una crisi più ampia che coinvolge il mondo del calcio e le sue curve. Mentre i tifosi dovrebbero essere i sostenitori della propria squadra, la realtà sta dimostrando che ci sono elementi che approfittano di questa passione per condurre affari illeciti. Le autorità stanno ora cercando di capire come fermare questa spirale di violenza e illegalità, che ha trovato terreno fertile nell’ambiente delle curve.
Inoltre, l’attenzione mediatica attorno a questa inchiesta sta crescendo, sollevando interrogativi su come i club di calcio e le istituzioni sportive possano affrontare e prevenire tali comportamenti. Sarà fondamentale per le società di calcio prendere posizione contro l’infiltrazione dei gruppi ultras nelle loro strutture e nelle loro attività, per garantire che il calcio rimanga uno sport di passione e di lealtà, piuttosto che un veicolo per attività criminali.
Le prossime settimane saranno cruciali per il futuro di Lucci e per il corso dell’inchiesta. La sua collaborazione o meno con le forze dell’ordine potrebbe avere un impatto significativo sulle indagini in corso e sulla gestione dei gruppi ultras in Italia. Mentre le autorità continuano a scavare nel profondo delle reti di narcotraffico che coinvolgono i tifosi, la speranza è che si possa arrivare a una soluzione che ripristini la sicurezza e l’integrità dello sport.