Negli Stati Uniti, il duello politico tra Kamala Harris e Donald Trump è al centro dell’attenzione, ma dietro le quinte si gioca una partita ancora più significativa. Gli Stati Uniti stanno lanciando una sfida all’Europa nel settore delle auto elettriche, e la prospettiva di superare il vecchio continente sembra più concreta che mai. L’Inflation Reduction Act (IRA), firmato il 16 agosto 2022 dal presidente Joe Biden, rappresenta un colossale investimento di 369 miliardi di dollari per sostenere la transizione delle aziende americane verso tecnologie verdi.
Questo atto non è solo una questione di cifre imponenti, ma di un meccanismo semplice e diretto di incentivazione economica. In Europa, dove l’auto elettrica diventerà obbligatoria dal 2035, i costi elevati e la scarsa diffusione degli investimenti ne rallentano l’adozione. In America, invece, l’approccio è più diretto: un credito d’imposta che funge da incentivo per chi produce o acquista componenti sul suolo statunitense. Questo metodo semplice e efficace sta attirando attenzione non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.
Il cuore dell’IRA è la sezione 30D, che dal 2023 finanzia il mercato delle vetture ibride plug-in o elettriche con crediti d’imposta fino a 7.500 dollari per gli acquirenti. Questa agevolazione è vincolata all’estrazione o lavorazione di una parte dei minerali per le batterie negli Stati Uniti o in paesi con cui esistono accordi di libero scambio, e l’assemblaggio finale deve avvenire in Nord America. Questo non solo stimola la produzione interna, ma rappresenta anche un incentivo per le aziende straniere a installare impianti di produzione negli Stati Uniti.
Un altro elemento cruciale è la sezione 45X, che offre un credito d’imposta ai produttori di batterie pari a 35 dollari per ogni kWh di capacità. Questo potrebbe portare i finanziamenti a toccare la soglia dei 30 miliardi di dollari entro il 2030, secondo le stime dell’ufficio di bilancio del Congresso USA. L’effetto sperato è quello di ridurre i costi di produzione delle batterie, rendendo il mercato americano più competitivo rispetto a quello cinese, attualmente leader mondiale ma non necessariamente il più economico.
Le implicazioni di questa politica potrebbero essere dirompenti per l’Europa. Le stime indicano che, da agosto 2022, negli Stati Uniti sono state proposte 23 nuove Gigafactory, portando il totale a 40. La capacità di produzione prevista per il 2030 è di 1.290.6 GWh. A confronto, l’Europa sembra in ritardo, con una capacità stimata di 1.144 GWh nello stesso periodo, ma con un clima di incertezza che offusca il panorama.
Le posizioni politiche di Kamala Harris e Donald Trump potrebbero influenzare in modo significativo l’evoluzione di questo scenario. Se Harris dovesse diventare presidente, è probabile che l’Inflation Reduction Act venga mantenuto nella sua interezza, dato il suo coinvolgimento come vicepresidente di Joe Biden. Al contrario, Trump, noto per la sua scarsa simpatia verso le auto elettriche, potrebbe sostenere solo la sezione 45X a favore dei produttori di batterie, in linea con il suo pragmatismo economico che ha caratterizzato il primo mandato.
Il panorama europeo delle batterie è ulteriormente complicato dalla situazione critica di aziende come la svedese Northvolt e la joint venture ACC, che stanno affrontando debiti e crisi operative. Questo contrasta con l’ottimismo iniziale che aveva caratterizzato le stime di produzione per il 2030. La conferma da Bruxelles dell’intenzione di creare un EU Battery Fund con 3 miliardi di euro è un passo nella giusta direzione, ma i dettagli su come questi fondi verranno distribuiti non sono ancora stati divulgati.
In sintesi, mentre la politica interna degli Stati Uniti si concentra sulla competizione tra Harris e Trump, il vero gioco geopolitico si svolge nel settore delle tecnologie verdi e, in particolare, delle auto elettriche. L’Inflation Reduction Act rappresenta un modello di politica economica che potrebbe ridefinire il panorama globale, con gli Stati Uniti pronti a diventare un attore dominante in un campo che fino a poco tempo fa sembrava essere saldamente nelle mani dell’Europa e della Cina.
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