Nel panorama calcistico odierno, dominato da stelle come Mbappé, Vinicius, Haaland e Yamal, è affascinante immaginare come un fuoriclasse del passato come Marco Van Basten si confronterebbe con questi talenti. Van Basten, con il suo stile inconfondibile e le sue capacità tecniche superiori, sarebbe probabilmente considerato il miglior giocatore del mondo, capace di vincere non solo l’ultimo Pallone d’Oro, ma anche di conquistare i prossimi a venire. Nessuno degli attuali campioni può vantare la sua combinazione di abilità tecniche, sagacia tattica, dribbling imbattibile e precisione nel tiro.
Marco Van Basten rappresenta un unicum nella storia del calcio, un fuoriclasse che si eleva al di sopra della concorrenza con facilità. La sua carriera, seppur segnata da infortuni che ne hanno limitato la longevità, è stata un susseguirsi di successi e riconoscimenti. Ha vinto il Pallone d’Oro per ben tre volte (1988, 1989, 1992) e si è affermato come capocannoniere in Serie A in due occasioni. Se giocasse oggi, dominerebbe il campionato italiano con la stessa autorevolezza di allora, guardando i suoi avversari dall’alto con un sorriso di superiorità appena accennato.
L’analogia con Tadej Pogacar, nel ciclismo, è perfetta per descrivere l’incedere di Van Basten: un atleta che, stanco di seguire il ritmo del gruppo, saluta tutti e parte in fuga, mostrando la sua eleganza e la sua armonia in campo. Chi non ha avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo potrebbe non cogliere appieno la straordinarietà di questo centravanti, spesso paragonato a Johan Cruijff per movenze e classe, ma Van Basten andava oltre, incarnando l’essenza del calcio semplice e geniale.
La sua relazione con Arrigo Sacchi, non sempre idilliaca, evidenzia la sua unicità. Mentre Sacchi prediligeva il gioco di squadra, Van Basten brillava come individuo che sfruttava il lavoro collettivo per ottenere la gloria personale. Era un centravanti completo: dribblatore eccezionale, che avanzava con il pallone incollato al piede, costringendo i difensori a capitolare di fronte alle sue finte; cecchino infallibile, capace di colpire con precisione micidiale da qualsiasi posizione.
Oggi, i criteri per valutare un attaccante sono molteplici: abilità in area, colpo di testa, tiro potente e capacità di dialogare con i compagni. Van Basten eccelleva in tutte queste categorie, e forse anche in qualcosa di più. Partecipare alla manovra della squadra era per lui naturale quanto respirare, un riflesso della sua visione di gioco. Celebre è l’assist a Rijkaard nella finale di Coppa dei Campioni del 1990, una mossa che oggi sarebbe esaltata come “falso nueve”, ma che per lui era semplicemente l’istinto di un campione.
In acrobazia Van Basten era imbattibile, capace di eseguire rovesciate spettacolari con naturalezza. Ogni suo movimento era una lezione di tecnica e bellezza, un’espressione di calcio che incantava gli spettatori. Il suo gol di testa contro il Real Madrid al Bernabeu è solo uno dei tanti esempi che testimoniano la sua maestria. In un’epoca in cui le difese erano ben più arcigne, con marcature asfissianti da parte di difensori come Riccardo Ferri, Pietro Viechowod e Pasquale Bruno, Van Basten si destreggiava con eleganza, trionfando in un contesto di grande fisicità e aggressività.
Oggi, con difese più aperte e regolamenti che proteggono maggiormente gli attaccanti, Van Basten troverebbe praterie in cui esprimere il suo talento. La sua capacità di adattarsi a qualsiasi situazione, la sua versatilità e la sua innata comprensione del gioco lo renderebbero un attaccante inarrestabile. In un calcio che spesso celebra la velocità e la forza fisica, Van Basten porterebbe una ventata di classe e intelligenza tattica che lascerebbe un segno indelebile. Chiunque ami il calcio sarebbe incantato di vedere un giocatore come lui all’opera oggi.
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