Il mondo dello sport è in continua evoluzione, cercando sempre nuove modalità per attrarre l’attenzione del pubblico e rendere le competizioni più coinvolgenti. Tuttavia, la recente proposta di abolire la tradizionale pedana di stacco nel salto in lungo ha scatenato un acceso dibattito tra atleti, tecnici e appassionati. La World Athletics sta sperimentando una nuova formula che divide il mondo dell’atletica: da un lato ci sono coloro che accolgono il cambiamento, dall’altro chi lo respinge con fermezza.
L’idea di modificare il salto in lungo è stata lanciata da Jon Ridgeon, amministratore delegato di World Athletics. La proposta prevede di sostituire la tradizionale tavola di stacco, che misura circa 20 centimetri, con un’area di decollo di 40 centimetri. Questo cambiamento ha l’obiettivo di ridurre il numero di salti nulli, che, secondo i dati, hanno rappresentato un terzo delle prestazioni ai recenti Campionati del Mondo di Budapest 2023. Ridgeon ha affermato che una simile modifica potrebbe rendere le gare più fluide e interessanti, eliminando perdite di tempo dovute a salti non validi.
Domenica 11 febbraio 2024, questa nuova formula sarà testata per la prima volta all’Indoor Meeting di Düsseldorf. Tra gli atleti che parteciperanno, ci sarà anche la tedesca Malaika Mihambo, oro olimpico a Tokyo e argento a Parigi. Mihambo è tra le poche atlete di spicco ad aver espresso un parere favorevole, ma rappresenta una voce isolata in un coro di dissenso. Molti dei più noti saltatori del mondo, come il greco Miltiadis Tentoglou, doppio oro olimpico, hanno mostrato un forte scetticismo nei confronti di questa proposta. Tentoglou ha dichiarato: “L’abolizione della pedana di stacco è una stronzata. Se la fanno, cambio sport e faccio il triplo”. Le sue parole rispecchiano il pensiero di molti atleti, che vedono il salto in lungo non solo come una questione di distanza, ma come un’arte che richiede precisione, controllo e abilità.
Il salto in lungo ha una lunga e illustre storia. Dalla sua introduzione nelle Olimpiadi moderne nel 1896, atleti come Bob Beamon e Carl Lewis hanno segnato l’epoca con le loro straordinarie performance. Beamon ha stabilito un record mondiale ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968, che è durato per 23 anni. Lewis, soprannominato ‘Figlio del Vento’, ha dominato l’atletica degli anni ’80 e ’90, vincendo quattro medaglie d’oro in un’unica edizione olimpica (Los Angeles 1984) e diventando un simbolo di eccellenza sportiva.
La posizione di Carl Lewis, che ha recentemente sollevato la sua voce contro la proposta della World Athletics, ha avuto un grande impatto. Attraverso un post su X (ex Twitter), ha paragonato la modifica del salto in lungo a un’ipotetica modifica delle dimensioni del canestro nel basket. Lewis ha evidenziato l’assurdità di un cambiamento così radicale, suggerendo che la facilità di esecuzione non debba sostituire l’abilità necessaria per raggiungere risultati nel rispetto delle regole tradizionali.
La questione della modifica del salto in lungo non si limita a una semplice modifica tecnica; essa coinvolge il futuro di una disciplina storica, la sua tradizione e l’integrità del suo svolgimento. Con il test di Düsseldorf all’orizzonte, il mondo dell’atletica si prepara a un importante bivio. Gli atleti e le leggende si confrontano con una rivoluzione che potrebbe modificare per sempre il volto del salto in lungo. La resistenza al cambiamento è forte: molti atleti e allenatori sostengono che la difficoltà di atterrare perfettamente sulla tavola di stacco è ciò che rende il salto in lungo una disciplina così affascinante e impegnativa. Cambiare le regole fondamentali potrebbe non solo alterare la tecnica, ma anche snaturare l’essenza stessa di uno sport che ha affascinato il pubblico per oltre un secolo.
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