Un anno fa, Matteo Berrettini si trovava in un momento critico della sua carriera. Dopo un 2022 costellato di infortuni e opportunità mancate, il tennista romano era un uomo ferito, alla ricerca di un nuovo slancio. La sua presenza nella squadra azzurra di Coppa Davis era più simbolica che altro: pur non potendo giocare, Berrettini si era trasformato in un fondamentale sparring partner, un motivatore e un supporto morale per i suoi compagni. La sua ombra aleggiava sui successi del team, che festeggiò la vittoria nella Coppa Davis senza che lui potesse sollevare il trofeo, a causa di un protocollo che lo escludeva dal campo.
Tuttavia, la situazione ha preso una piega diversa quest’anno. Dopo aver conquistato tre vittorie in singolare a Bologna, Berrettini è tornato a essere protagonista, affiancato da Jannik Sinner, il giovane fenomeno del tennis italiano. Insieme, hanno regalato il punto decisivo contro l’Argentina, segnando il ritorno in campo di Matteo in una competizione così prestigiosa. “Sì, spettatore in tribuna,” afferma Berrettini riflettendo sulla sua recente esperienza. “Sappiamo di avere una delle squadre migliori della competizione e posso assicurare che entrare in campo con Jannik mi dà sempre un grande senso di sicurezza.”
L’energia palpabile tra Berrettini e Sinner è un elemento che merita attenzione. “Jannik è un ragazzo speciale. Anche se è il numero 1, si comporta con l’umiltà dell’ultimo arrivato,” osserva Matteo. Questa umiltà e la continua ricerca di miglioramento da parte di Sinner hanno colpito Berrettini, che si sente ispirato dalla sua determinazione. “Uno così lo guardi e ti domandi in cosa potrebbe crescere ancora, eppure lui cerca sempre di fare di più.”
Il percorso di Berrettini è stato contrassegnato da una vera e propria rinascita. “È stato un anno molto positivo,” racconta. “Bisogna sempre considerare da dove si parte. In passato ho raggiunto risultati più importanti, ma stavolta partivo da una base traballante.” La ricostruzione del suo tennis, della motivazione e della forza mentale è stata fondamentale per ritrovare l’energia necessaria a competere ai massimi livelli. “Penso sia stato uno degli anni più belli della mia carriera per l’energia che ho ritrovato.”
Questa trasformazione non ha solo impattato il suo gioco, ma anche il modo in cui percepisce ogni traguardo raggiunto. “La vita è sempre una questione di equilibrio. Essere cattivo in campo, ma fare in modo che questa cattiveria non ti avveleni la vita,” spiega Berrettini. “Prima era una continua ricerca di ottenere sempre di più, fino a che non sono scoppiato. Adesso sono molto più centrato.”
Un aspetto interessante del suo ritorno è come la squadra abbia giocato un ruolo cruciale nel suo processo di guarigione. “La squadra aiuta tantissimo perché non siamo un gruppo soltanto nel momento della Davis, ma tutto l’anno,” sottolinea. “Ci supportiamo tutti l’uno con l’altro, non solo per tifare. È un consiglio, un appoggio nel momento di difficoltà, un confronto. Penso che sia fondamentale per essere migliori e per crescere sia dentro sia fuori dal campo.”
Berrettini è pronto a fare di tutto per la sua squadra. “Io sono disponibile a tutto. Singolare, doppio, anche a fare il capo ultrà coi tamburi se il capitano me lo chiede,” afferma con entusiasmo. Questo spirito di sacrificio e disponibilità è ciò che rende un atleta non solo un campione, ma anche un leader. Le decisioni sul campo, comunque, spettano a Filippo Volandri, il capitano della squadra, e Matteo rispetta e si fida delle sue scelte.
Infine, c’è la questione del futuro. Berrettini si è già proiettato verso il suo ruolo di capitano, anche se non immediatamente. “Intende dire fra 30 o 40 anni? Sì, sarebbe un’esperienza molto interessante e credo che mi potrebbe calzare bene,” dice, riflettendo sul suo amore per l’energia del gruppo e la mentalità di squadra, pur riconoscendo che il tennis rimane uno sport individuale. “Adesso lasciamo Volandri vincere altre mille Davis, poi quando proprio non ne vorrà più sapere, allora ci farò un pensierino.”
Matteo Berrettini, quindi, non è solo un atleta che lotta per il successo personale, ma un uomo che ha trovato il suo posto in un gruppo, pronto a supportare i suoi compagni e a rimanere umile, anche quando le luci del successo lo circondano.
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