In una recente conferenza stampa a Bruxelles, Umberto Calcagno, presidente dell’Assocalciatori (Aic), ha espresso un forte dissenso nei confronti della direzione che il calcio moderno sta prendendo. La sua critica è stata formulata durante la presentazione di un reclamo contro la FIFA alla Commissione Europea, sostenuto dalle Leghe europee, da Fifpro Europe e da LaLiga. Calcagno ha sottolineato come l’eccessivo numero di partite richieste ai calciatori professionisti stia iniziando a rappresentare una grave “stortura” nel sistema calcistico, una stortura che rischia di portare il calcio a “divorare se stesso”.
Questa presa di posizione segna un punto di svolta significativo, poiché, come ha osservato Calcagno, la questione della salute dei calciatori non è più percepita come una semplice faccenda sindacale. Essa è ora vista come una priorità centrale per il mantenimento e la difesa di un sistema sportivo che rischia di compromettere la qualità del proprio spettacolo principale: i giocatori stessi. I top player si trovano a giocare a una velocità notevolmente superiore rispetto a dieci anni fa. Tuttavia, la crescita esponenziale del numero di partite che vengono loro richieste – da 60 a 70, e con i Mondiali per club potrebbe addirittura arrivare a 80 – espone questi atleti a un carico fisico e mentale insostenibile.
Un altro problema sottolineato è la logistica dei viaggi. I calciatori delle nazionali oltreoceano, ad esempio, potrebbero trovarsi a percorrere distanze enormi, fino a 120.000 chilometri in una stagione. Questo non solo compromette le loro prestazioni sul campo, ma riduce drasticamente il tempo disponibile per allenamenti di qualità, stimati ormai in soli 15-20 all’anno per alcuni giocatori. La preoccupazione di Calcagno è che l’attenzione eccessiva al profitto a breve termine, derivante dall’aumento delle partite e dalla crescente commercializzazione del calcio, possa trasformare questo sport in un prodotto meno attraente e spettacolare nel lungo periodo.
Il reclamo presentato alla Commissione Europea mette in luce come le decisioni della FIFA riguardanti il calendario internazionale siano percepite come eccessivamente orientate al guadagno immediato, trascurando l’importanza della sostenibilità e della qualità del gioco. Un gioco che, per sua natura, dovrebbe essere un equilibrio tra competizione, spettacolo e salute degli atleti. Questa crescente pressione ha già avuto ripercussioni evidenti, con un aumento degli infortuni tra i giocatori, che spesso li costringono a lunghi periodi di recupero, compromettendo ulteriormente la loro carriera e le prestazioni delle loro squadre.
Il dibattito sollevato dall’Assocalciatori si inserisce in un contesto più ampio di discussione sul futuro del calcio professionistico. Molti suggeriscono la necessità di rivedere i modelli di competizione e di gestione economica, per garantire che il calcio rimanga uno sport sano e sostenibile. Questo significa non solo ridurre il numero di partite, ma anche ripensare l’intero sistema per garantire il benessere degli atleti e, di conseguenza, la qualità del gioco.
La questione sollevata dall’Aic è un invito a riflettere sul bilanciamento tra spettacolo e sostenibilità, un invito che va oltre le mura dello stadio e si rivolge a tutti gli stakeholder del calcio: dalle federazioni ai club, dagli sponsor ai tifosi. La speranza è che questo grido di allarme possa portare a un dialogo costruttivo e a soluzioni che preservino l’integrità del calcio, rispettando il benessere dei suoi protagonisti principali, i giocatori. Il calcio è, e deve rimanere, uno spettacolo che affascina e ispira milioni di persone, ma che non deve farlo a costo della salute e del benessere di chi lo pratica.
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