Il Giro d’Italia si scopre senza fascino. Le squadre iniziano a preparare il 2024, anno olimpico: un fattore che porterà, con ogni probabilità, a dividere il gruppo fra chi andrà a caccia delle Monumento e chi invece proverà ad affermarsi al Tour de France e alle Olimpiadi. In mezzo, la corsa rosa che si scopre vaso di coccio fra quelli di ferro.
La sensazione, che presto potrebbe diventare certezza, è che tutti i big siano interessati al Tour e poi, sfruttando l’onda lunga del calendario, anche la Vuelta di Spagna. Chi sicuramente andrà a caccia della maglia gialla piuttosto che rosa saranno Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel in compagnia di Tadej Pogacar che ha solo promesso di partecipare, più poi che prima, al Giro. Assente anche il campione uscente Primoz Roglic, per sua stessa ammissione concentrato sull’obiettivo Maglia Gialla.
L’unica “stella” è Wout van Aert. Al debutto al Giro, il belga ha già parlato chiaro: viene per allenarsi, testarsi e vincere qualche tappa ma la classifica, per sua stessa ammissione, non gli interessa. Dunque chi può ambire alla maglia rosa? Chi resta: ovvero Cian Uijtdebroeks, Geraint Thomas e Simon Yates che hanno già annunciato la loro presenza. Vista la pochezza della concorrenza, questo potrebbe essere il podio, a meno che non sia la volta di un italiano: non si sfugge da Giulio Ciccone a Damiano Caruso.
La situazione del ciclismo italiano, per restare in tema, non è rosea: i grandi nomi evitano il Giro e le due ruote italiane sono alla vana ricerca di un erede in grado di raccogliere il peso di Vincenzo Nibali. La sensazione è che neanche un nuovo “squalo” capace di restare attaccato alla ruota di Pogacar e Vingegaard fatichi ad accendere la fantasia di un pubblico sempre più lontano da questo sport. E dunque anche un fenomeno faticherebbe ad essere accettato e riconosciuto in un paese che fatica a indentificarsi nel ciclismo.
Basti pensare che Filippo Ganna, recordman dell’ora, due volte campione del mondo a cronometro e oro olimpico, non è riuscito a generare quel traino necessario per accendere entusiasmo paragonabile agli anni straordinari, e probabilmente irripetibili, fra gli 80’ e il fine XX secolo. Forse, anche senza forse, si è chiusa un’epoca di uno sport che almeno in Italia, sembra destinato a una fine inesorabile. E non è forse tanto lontano dalla realtà immaginare che l’improvviso scarso appeal del Giro ne sia una diretta conseguenza?
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